PINOCCHIO

INCISIONI DI VERONICA MENGHI E POESIE DI GIACOMO TRINCI
MISURE 110 X 70


 

METAMORFOSI DELLE MASCHERE, IL PINOCCHIO DI VERONICA MENGHI.
Il lavoro di incisioni di Veronica Menghi non ripercorre semplicemente l’iter narrativo della storia di Pinocchio, la sua non è un’illustrazione della fiaba, ma preleva dalla trama epica del racconto dei tornanti cruciali, integralmente depsicologizzati, che assurgono in questa nuova concatenazione il carattere di un ciclo. L’incisione è qui da intendersi effettivamente come prelievo: isolare, fissare, estrarre dalla narrazione una scena e nello stesso movimento, ridurre la scena ad un’istantanea. In questo senso l’incisione, costruita sui frammenti e sugli scarti della rappresentazione – ripeto, VM non propone una semplice illustrazione della narrazione – non manifesta la storia di Pinocchio nelle sue scansioni esistenziali ma dà luogo ad una selezione particolare il cui denominatore comune è quello del motivo delle metamorfosi delle maschere. La maschera della menzogna, dell’illusione, del buon ordine, della falsa integrazione ma anche la maschera della dissipazione, della violenza, dell’intrigo e del godimento.

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Ecco dunque la prima scena: nasciamo sempre – strutturalmente – come oggetti. Siamo fabbricati dal desiderio dell’Altro. È il momento mitico estratto nella tavola (n° 1) dove l’esistenza del soggetto viene ricavata dalla materia, voluto, animato, creato, braccato letteralmente dall’Altro. Separazione dall’inerte, soggettivazione, animazione ma anche da subito, follia della libertà, rivolta, rifiuto del Vincolo, rigetto della Legge del Padre che l’ha generato e della sua parola (n° 2). Poi la suite prosegue: alle tavole (nn° 5 e 6) il dramma della verità e della menzogna, il dramma del tradimento e della seduzione. L’animazione del carattere umano comporta questo inferno. Gatto e Volpe come forme essenziali della maschera, dell’aleatorietà, del volto cattivo dell’Altro.

Poi la tavola (n° 10) che mette in rilievo il potere di fascinazione dell’oggetto-gadget e la spinta irreversibile della pulsione. L’incisione esalta la luce falsa che circonda la carovana del desiderio che conduce verso l’oggetto immaginario. Ritorno della marionetta del soggetto come schiavo del circo e delle girandole della cuccagna. I gadget rovesciano la luce dell’Altro. Mentre nella tavola (n° 1), VM ci mostra una nascita del soggetto al simbolico, in questa, dove la scena è dominata dalla carovana affollata, appare
lo schizzo di un bagliore intermittente, infiammazione, fuoco che produce solo ombre. Ma questo ciclo delle metamorfosi delle maschere non si conclude sulla verità svelata. L’ultima tavola, specialissima (n° 11), è la tavola che isola, in una leggerezza di tocchi di grande equilibrio, il burattino allo specchio, dove può osservare nel suo simile la metamorfosi che svela – nel simbolo delle orecchie d’asino – l’idiozia che attraversa il mondo del divertissement. Ma al tempo stesso quest’ultima tavola sospende la verità a questa danza ipnotica con l’inganno. Condizione umana per eccellenza: il Pinocchio di VM non arriva alla purezza conclusiva della trasformazione in umano ma si arresta sul carattere inaggirabile del sembiante e del suo potere di fascinazione. In questo senso l’intero ciclo è scandito da una stessa tavola che appare all’inizio e alla fine, che apre e chiude come un’uscio, in un’intermittenza fondamentale, la serie.
Si tratta di una tavola che rovescia la prospettiva umanistica che vuole Pinocchio burattino dall’anima umana. Piuttosto, dall’inizio alla fine VM riconduce, in un rovesciamento radicale, l’umano all’anima disarticolata, in frammenti, del burattino. Pinocchio non è così ridotto ad uno stadio “infantile” dello sviluppo, ma anima dell’uomo, la sua condizione insuperabile.

Massimo Recalcati